Cambiamento è stata la parola che ha segnato il 2018. La parola del 2019 sarà una conseguenza di quella dell’anno prima.
Riassumere in una parola un anno intero è molto difficile. Io ci ho voluto provare. Mi sono messo li a pensare quale potesse riassumere il 2018. Forse influenzato dal “Governo del cambiamento” o da come Trump intende gestire la politica estera con un sempre maggiore disimpegno degli Usa dagli scenari internazionali, senza contare la Gran Bretagna nel vivo di lasciare l’Ue, il ritorno di toni duri come da parte di Orban. Per me la parola del 2018 è stata “cambiamento”. Mi sono guardato intorno, ascoltato storie e ho visto nella realtà immediata quante cose sono cambiate. Un mondo del lavoro che vede sempre più “working poor”, tanti che per le loro condizioni di vita si allontano sempre più dalla serenità per avvicinarsi alla rabbia. Una rabbia che si è mossa verso privilegi e immigrati in gran parte dell’Europa, palesemente con i Gilet Gialli in Francia, un’ onda che ha influenzato via via il modo di pensare e i comportamenti quotidiani di un crescente numero di persone. Sotto pelle a questa rabbia ho spesso trovato non la cattiveria ma la necessità di avere o riprendere una dignità spesso rubata. Quella dignità prima conquistata che ora è venuta meno o si ha paura che venga meno. La crisi economica dal 2008 in poi ha prodotto situazioni che sono mutate senza mai ritrovare una soluzione soddisfacente per tanti, per la maggioranza. Si sono aperte delle crepe nello spettro sociale che nessuno ha per ora sanato. Io penso che non sono i sentimenti negativi, manifestati o velati, le vere soluzioni ai problemi. Anzi sono parte del problema e provocano spesso altri problemi. Una catena infinita con un’origine, a mio parere difficile da chiudere senza una volontà ed un’ idea comune seria di cosa si vuole essere e diventare da grandi. Vale un pò lo stesso per i cambiamenti climatici. Abbiamo visto per la prima volta i veri effetti di questi fenomeni estremi nelle immagini della Foresta dei Violini distrutta o di un violentissimo Tsunami in Indonesia. Altri ancora e numerosi sono i segnali che ci allarmano. Le soluzioni che urgono sono però lente e difficoltose da attuare. Se adesso torniamo al titolo per me la parola del 2019 deve essere “responsabilità”. Se si è divagato, fantasticato, disprezzato, esagerato, tirato la corda è necessario ora assumersi le proprie responsabilità non per andare in croce ma per rispondere a chi sta chiedendo questa responsabilità con la propria vita in discussione. Dopo un cambiamento, l’effetto novità produce euforia, gioia, tutto appare magico e carico di aspettative. Al contrario tutto appare più incerto, buio e tenebroso. Dipende da come si percepisce un cambiamento, se positivo o negativo. Passati questi istanti è necessario riprendere lucidità e contatto con la realtà, allontanare i dogmi e far posto ai problemi veri da risolvere. Ecco perché scatta l’ora, anzi l’anno, della responsabilità. Se ci sarà e cosa determinerà è sconosciuto a me e a tutti.
Buon 2019!

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